martedì 28 giugno 2011

Perché le linee guida di Valerio Vancheri

Sottolineata la condivisa opinione secondo la quale la centralità che il principio del contraddittorio ha assunto nel nostro ordinamento processuale penale discende da una consapevole valutazione di maggiore idoneità dei meccanismi volti al perseguimento dei fini propri del processo, va evidenziata la necessità che il momento e la funzione dell’Esame Incrociato vengano analizzati e studiati, anche al fine di rinvenire soluzioni, non soltanto di tipo normativo, volte ad “ottimizzarne” l’impiego e l’applicazione delle regole.

Non va dimenticato, peraltro, che qualsivoglia approfondimento della tematica dell’Esame Incrociato non può prescindere dalla effettiva realizzazione dei principi dell’oralità, della concentrazione e dell’immediatezza, canoni fondamentali e connotanti il cosiddetto “giusto processo”.

Per diverse ragioni, le regole dell’esame incrociato, a vent’anni dall’entrata in vigore del codice, in parte vengono eluse, se non travolte, dalla deformazione della prassi: si va dalla superficialità dell’approccio alle resistenze “culturali” degli operatori, con la conseguente sterilizzazione di quei canoni non condivisi e ritenuti soltanto indicativi, anche perché (sarebbero) privi di sanzione processuale.
L’onore e l’onere di sovrintendere al rispetto della legalità sono principalmente dei giudici; tuttavia, ciò non attenua la gravità della inerzia dei difensori, per lo più silenti e rassegnati, né assolve i pubblici ministeri, per lo più adagiati sulla comodità della “semplificazione”, della quale in definitiva tutti i soggetti professionali del processo sono partecipi. Il rischio, evidentemente, è la normalizzazione, ovvero la restaurazione di metodi probatori di stampo inquisitorio, in cui le regole non espressamente difese da sanzione sono osservate solo se condivise.
Nel luglio del 2008 si è costituito a Siracusa, presso il prestigioso Istituto Superiore Internazionale di Scienze Criminali, il LA.P.E.C. (Laboratorio Permanente Esame e Controesame): un gruppo di lavoro i cui esperti (avvocati, magistrati, professori di ogni parte d’Italia) organizzano convegni e incontri seminariali, approfondiscono le relative tematiche, anche sotto il profilo comparato, monitorizzano le prassi giudiziarie, dibattono l’interpretazione delle norme e si propongono di fornire un contributo alla formazione specifica degli operatori.

Per tutti, un sentire comune:

- Il valore di fulcro del processo penale del momento dell’acquisizione della prova;
- L’esigenza di una migliore lettura ed applicazione delle regole;
- La necessità di una adeguata professionalità degli operatori del diritto e del processo.

Prescindendo, almeno per il momento, dal puntare l’attenzione sui profili della formazione, anche deontologica, delle parti del processo, le quali fanno dell’esame incrociato il “metodo” qualitativamente e quantitativamente più rilevante per sostenere e suffragare le rispettive posizioni, si è segnalata, nel corso degli anni di applicazione del codice Vassalli, la necessità di individuare regole idonee ad assicurare il controllo sulla veridicità e genuinità della fonte probatoria: il tutto anche nell’ottica di realizzare la cosiddetta concezione “forte” del contraddittorio.

Particolarmente meritevoli di attenzione sono da ritenersi temi quali: 
a) domanda suggestiva; 
b) domanda nociva; 
c) ordine e modi di assunzione della prova, secondo le indicazioni contenute nella lista di cui all’art. 468 c.p.p.; 
d) “riformulazione” della domanda vietata; 
e) poteri del Giudice nell’ambito dell’istruzione probatoria; 
f) presenza ed assistenza del consulente tecnico al dibattimento. 

Temi che sono stati oggetto di analisi, anche alla luce delle discipline e delle esperienze applicative di altri Paesi.

Altro aspetto di cui si è rilevata l’importanza, e del quale è apparso utile tenere conto, concerne il “fattore umano” della testimonianza. In particolare, ci si vuole riferire ad un aspetto fortemente connotante il nostro rito penale: l’allargarsi del gap cronologico (elemento che costituisce la normalità dello sviluppo della vicenda giudiziaria) tra il momento in cui un fatto si è verificato e quello in cui il teste è chiamato a rievocarlo. Costituendo questo un dato del quale la psicologia giuridica si occupa, appare opportuno sviluppare studi sulla tematica, rivolti certamente a “parametrare” le regole dell’esame incrociato, nell’ottica di una sua valorizzazione, al predetto dato.

Allo stesso modo, dalla considerazione, ovvia, che il processo penale, in specie l’attività istruttoria di assunzione della prova orale, costituisce un evento anche linguistico, muove la riflessione sulla struttura e sulla funzionalità dei parametri linguistici nella tematica della Cross Examination.

Si può ben comprendere come, con il passaggio dal rito inquisitorio a quello (tendenzialmente) accusatorio, sia cambiata anche la tipologia della competenza linguistica e comunicativa richiesta al giurista pratico. E’, infatti, aumentata esponenzialmente la centralità delle tecniche d’esame e controllo del discorso dell’interrogato, visto che la prova si forma oralmente in dibattimento.

La individuazione delle prassi contra legem è stato il primo obiettivo del LA.P.E.C. Tra le tante trasgressioni abituali delle regole codicistiche dell’esame incrociato registrate dal laboratorio, la più diffusa riguarda l’invito, rivolto dal giudice all’esaminatore la cui domanda suggestiva o vietata sia stata oggetto di opposizione, a “riformularla” in maniera corretta. Come se l’esaminato potesse cancellare con un colpo di spugna il suggerimento abusivamente a lui rivolto, la cui illegittimità è peraltro conclamata dallo stesso accoglimento dell’opposizione. 
Ma le degenerazioni sono anche altre. Ad esempio, la sostanziale abrogazione, contrastante con la lettera e con la ratio della norma ma autorizzata anche dalla Corte di legittimità, dell’indicazione nell’istanza di cui all’art. 468 c.p.p. delle circostanze su cui deve vertere l’esame; l’invadenza del giudice, che - durante l’esame, e fuori dai casi previsti - non contiene il suo desiderio di saperne di più, legittimo quando non venga assecondato con “metodi” personali, togliendo la parola a chi sta interrogando, per procedere direttamente a formulare domande (talvolta senza porsi limiti di suggestione, dalla quale si ritiene esente, e senza alcuna remora di inserirsi nell’altrui strategia); l’intervento giudiziale, dopo l’esame condotto dalle parti, ai sensi del comma dell’art. 506 c.p.p., pressoché mai preceduto dall’invito di cui al comma 1, sostanzialmente in desuetudine, di approfondire “temi di prova nuovi e più ampi”; il giuramento imposto al consulente tecnico, come se la sua opinione scientifica fosse un testimonianza, e persino (seppure più raramente) il suo allontanamento dall’aula prima di essere esaminato; per non dire dell’integrazione probatoria di cui all’art. 507, disposta al termine del dibattimento anche a prescindere da un’effettiva necessità. E ciò senza nemmeno ammettere le parti alla controprova.

Da qui, ed attraverso quasi due anni di lavori e tre convegni (Siracusa Maggio 2009 – Alghero Settembre 2009 – Venezia Marzo 2010) già svolti (mentre si prepara il quarto, ad Amalfi il 10-11 settembre), il L.A.P.E.C., con i suoi soci più autorevoli e con la collaborazione di tutte le categorie interessate (Magistrati, Avvocati e Cattedratici) si è fatto carico di elaborare delle Linee Guida di natura tecnico/deontologica, utili a “condurre” chi si accosta al delicato compito di esaminare o ascoltare un soggetto che debba/possa riferire fatti e circostanze utili ai fini del processo.

In quest’ottica, il L.A.P.E.C. ha elaborato, in un primo momento, un questionario, diffuso attraverso le camere penali e le sezioni locali dell’ANM, col fine di monitorare, presso i singoli Distretti e gli Uffici Giudiziari, quale sia l’applicazione delle regole e delle norme che disciplinano l’acquisizione della prova orale, tanto in fase d’indagine, che in sede dibattimentale, così come di prendere conoscenza delle prassi, spesso diffuse, ma non sempre conformi al dettato del codice.

Dai risultati, resi noti al convegno di Siracusa del Maggio 2009, si è passati alla seconda fase del progetto, definito e disegnato ad Alghero nel successivo mese di Settembre, laddove si è deliberato di dare corso alla prima stesura delle Linee Guida, da proporre e discutere durante il successivo convegno di Venezia del Marzo 2010.

In effetti, dai lavori di Venezia, ribadita definitivamente l’opportunità della approvazione delle Linee Guida, e valutata la bozza proposta al convegno, si è dato mandato ad una Commissione, composta da: Giovanni Canzio (Giudice), Bruno Cherchi (Pubblico Ministero) e Carmela Parziale (Avvocato), per la redazione del testo definitivo.

In attesa di un intervento normativo, ammesso che questo sia necessario, le Linee Guida del L.A.P.E.C., in considerazione anche dell’altissimo livello del confronto che le ha precedute e dell’autorevolezza della Commissione che ne ha elaborato il testo definitivo, si prefiggono, a questo punto, lo scopo di fornire a tutti gli operatori del processo penale un indirizzo comune, volto ad elidere non solo disparità, distorsioni e differenze interpretative ed applicative delle regole, ma anche un aiuto ed uno stimolo per la migliore e più virtuosa attuazione dei principi ispiratori del processo tendenzialmente accusatorio.

Uno strumento in più, sul tavolo di Giudici, Pubblici Ministeri ed Avvocati, frutto del prezioso lavoro di tutti coloro che, da ogni parte e nell’ottica di un sereno e costruttivo confronto, hanno voluto condividere e dare prestigio all’iniziativa del L.A.P.E.C.

Avv. Valerio Vancheri

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